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sinteticità e chiarezza ricorso

Processo amministrativo: principio di sinteticità e chiarezza e inammissibilità del ricorso (CdS 7622/2020)

Consiglio di Stato, Sez. IV sentenza n. 7622/2020 del 01.12.2020

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7622/2020 si è pronunciato dichiarando inammissibile un ricorso in appello per violazione del principio di sinteticità e chiarezza ex art. 3, c. 2 del codice del processo amministrativo.

Il fatto

La questione vedeva la Società Alpha essere proprietaria di un’area nel Comune di Milano originariamente classificata dal Piano Regolatore Generale (di seguito PRG) come zona omogenea B3, con destinazione funzionale “I/R” (“zone industriali-residenziali”), con un indice di fabbricabilità pari a 1 mq/mq. Con il nuovo Piano di Governo del Territorio (di seguito PGT), però, la stessa area è stata poi assoggettata ad un indice di edificabilità di 0,5 mq/mq e per una porzione a “strada pubblica”. Il Comune ha poi definitivamente approvato il PGT, prevendendo una capacità edificatoria ulteriormente ridotta (con un indice di 0,35 mq/mq) e confermando la destinazione a strada pubblica di una porzione rilevante dell’area.

La società ha poi presentato una DIA, ex art. 41 della L.R. della Lombardia n. 12/2005, per la realizzazione di un fabbricato per civile abitazione. La DIA, però, è stata successivamente negata dal Comune di Milano con nota n. 5419 del 29 luglio 2010 per l’intervenuta adozione del PGT e delle sue diverse previsioni urbanistiche.

La Società ha quindi proposto tre differenti ricorsi di cui uno avverso la suddetta nota del 29 luglio 2010, un secondo con cui ha chiesto il risarcimento del danno subito per la condotta tenuta dal Comune e un terzo con cui ha impugnato la delibera di approvazione del PGT.

Con la sentenza n. 1031 del 24 maggio 2015 il T.A.R. Lombardia, Sez. II ha respinto nella sua interezza il ricorso avente ad oggetto il risarcimento. Contro la suddetta sentenza la Società ha proposto appello che è stato poi rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 7622 del 1.12.2020 sulla base di numerose motivazioni.

Sul principio di sinteticità e chiarezza degli atti

Quale secondo motivo di rigetto, di interesse in questa sede, il Consiglio di Stato ha rilevato che “l’appello, […] si pone, per la sua dimensione, in violazione del dovere di sinteticità sancito dall’art. 3, comma 2, c.p.a”. Seppur il ricorso sia antecedente al decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016 sui limiti dimensionali, secondo il Giudice esso elude il “dovere di sinteticità che ha una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dalla centralità dell’interesse pubblico in occasione del controllo sull’esercizio della funzione pubblica[1].

Il giudice volge poi l’attenzione al principio di ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2 della Costituzione, evidenziando che “i principi di chiarezza e sinteticità, quanto alla causa petendi ed al petitum, rendono infatti più immediata ed agevole la decisione del giudice, evitando l’attardarsi delle parti su argomentazioni ed eccezioni proposte a mero scopo tuzioristico, rendendo meno probabile il ricorso ai mezzi di impugnazione e, tra questi, in particolare al ricorso per revocazione[2].

Termina infine rilevando che “Il mancato rispetto del precetto di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a., espone pertanto l’appellante alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata[3].

Le conclusioni

Tale decisione è stata ricondotta dal Consiglio di Stato al fatto che “l’atto di appello risulta caratterizzato da diverse reiterazioni delle medesime argomentazioni e dalla conseguente esposizione delle stesse in modo talvolta non specifico ed esaustivo”.

[1] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4636 del 2016.

[2] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4413 del 2018.

[3] Cfr. Cass. civ., n. 8009 del 2019.

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